il mobbing “to mob” in inglese significa assalire, aggredire qualcuno. In ambito lavorativo l’assalitore può essere il datore di lavoro o il superiore gerarchico (cd. mobbing verticale) o possono essere i colleghi (mobbing orizzontale).
Si tratta di un comportamento vessatorio e discriminatorio, preordinato a mortificare e a isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro.
L’assalto avviente attraverso ripetuti comportamenti aggressivi e/o vessatori nei confronti di un lavoratore, che a causa delle ripetute e perduranti aggressioni cade in una condizione di prostrazione ed insicurazza tali da condurlo alle dimissioni o comunque a comprimere in maniera significativa ed ingiusta i propri diritti, con conseguenze anche sulla propria salute.
La materia viene prevalemntemente trattata nel diritto del lavoro e nei processi civili innanzi al Giudice del lavoro.
A volte però le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione possono costituire reato.
Ciò avviene nei casi più gravi, sia quando a causa delle condotte il lavoratore si ammala, sia quando, pur in assenza di una malattia vera e propria, le vessazioni siano ad esempio costituite da minacce oppure avvengano in un ambiente assimilabile ad una famiglia.
Nel primo caso il reato è quallo di lesioni personali, nel secondo può essere ipotizzato il reato di minaccia oppure, addirittura, il grave delitto di maltrattamenti in famiglia (punito con pena detentiva molto severa, da 2 a 4 anni di reclusione) qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia.